Che nel 2019 siano dette un po’ più di verità a Firenze. A quei fiorentini brontoloni, un po’ meno fieri di qualche decennio fa, ma sempre innamorati delle loro cose, delle loro idee, della loro Fiorentina. Forse, e non si arrabbi qualcuno, il fiorentino un po’ cambiato lo è davvero: e non in meglio. Pensa un po’ più al proprio orticello, cambia idea più rapidamente, brontola ma sceglie sempre le stesse persone. Ma una qualità non l’ha persa: capisce al volo chi bluffa e chi no. Capisce, con uno sguardo, chi è lì per passione e chi invece ci gioca un po’, con la passione. Ma riconosce anche i meriti. E poi ha un limite: crede alle promesse. Che siano vicine o lontane nel tempo. Si fida. E allora che il 2019 sia l’anno della verità, quella giusta, quella sussurrata, quella trasparente. Anche crudele, se necessario.

Lo stadio, ad esempio. Ci venga detto se si farà o no. Non ci interessa più gli incontri, i progetti, le percentuali. Quella giornata al Four Season, quei plastici, quei mega progetti, assomigliano molto ad una puntata di Porta a Porta. Il fiorentino merita altro. E se poi lo stadio non si dovesse fare, pazienza. Va bene anche così, non si preoccupino. Magari pensino a coprire il Franchi, a non far prendere l’acqua a chi paga il biglietto senza tessere omaggio, a mettere a posto e in sicurezza i bagni delle curve, diventati un vero e proprio letamaio. Una vergogna, una missione praticamente impossibile far fare i bisogni ad un bambino nelle toilette del Franchi. Che poi lo stadio nuovo andrebbe riempito, ci vorrebbe una squadra all’altezza e sulla quale si possa scommettere ad occhi chiusi, e una società che investe. ‘Senza lo stadio vivacchieremo’, non può essere un diktat eterno.

Il 2019 ci porti un progetto più divertente, anche se questa parola ce l’hanno fatta venire a noia. Una squadra giovane ci piace, ma ci piacerebbe vedere anche un gioco più coraggioso, più offensivo. Tanto ormai ce l’hanno detto che non vinceremo nulla, tanto ormai ce l’hanno fatto capire che se una volta, miracolosamente, arrivassimo secondi a gennaio, non si spenderebbe lo stesso, non ci si proverebbe lo stesso. Contano i fatti, non le parole. Che il 2019 ci faccia capire, se davvero, i Della Valle hanno ancora voglia di fare calcio, di rimanere a Firenze, di essere applauditi e criticati, come nel mondo del pallone accade da sempre. Altrimenti, dopo quasi vent’anni senza vittorie, ci si può anche salutare. Ah già, va venduta. Ah già, va ripreso l’investimento. Ah già, ma chi arriverà dopo? Tutto vero, tutto giusto. Però se ci si deve sopportare, ci si sopporti con maggiore presenza. Se uno deve vendere una casa, non è che la lascia andare. La ristruttura, l’abbellisce, cerca di renderla importante. Lo dicano, a Firenze, cosa vogliono fare. Rispondano alle domande (e ce ne sono), in riva all’Arno, guardandosi negli occhi. Lasciando da parte i comunicati, le interviste veline, le risposte uscendo di corsa dalla tribuna autorità, le interviste ai giornalisti per forza di cose compiacenti. C’è bisogno di verità, magari anche della loro verità. Perché non è detto che gli errori siano da una parte sola, magari anche Firenze ha sbagliato qualcosa. E magari ha sbagliato anche tanto.

Nel 2019 forse perderemo Chiesa. Chissà. Forse andrà al Napoli, chissà. Dopo Bernardeschi alla Juventus, può accadere. Come quando Baggio andò alla Juventus, ma lì per i Pontello fu l’ultima mossa, quella dell’inevitabile addio. Già, il Napoli. Potevamo esserci noi li, poteva esserci Della Valle al posto di De Laurentiis. Uno che con il calcio ci guadagna, uno che tutti gli anni va in Champions, uno che qualcosa ha vinto. Uno che riesce a far quadrare i conti tenendo per anni Hamsik, Insigne, Callejon, Mertens. Uno che se vende Cavani compra Higuain, che se perde Sarri prende Ancelotti. Uno che è sempre lì, dietro alla Juventus, rendendo fiero un popolo. Uno che tutti i giorni, o quasi, è agli allenamenti, a Castel Volturno, al fianco dell’allenatore. Il calcio, da sempre, ha poche regole. Una è questa: la presenza. E Firenze, in questo, è sempre stata fedele, anche troppo. Ma si divertiva di più, molto di più, quando lottava per non retrocedere, anche in stagioni terribili, con proprietà squattrinate. Aveva uno scopo, aveva un traguardo da raggiungere. E lo stadio era pieno. I sogni, possono essere anche piccoli, piccolissimi. Come quello di lottare per non retrocedere. Ma servono, sono vitali. Soprattutto nello sport, soprattutto la domenica, soprattutto quando si cerca qualche distrazione. Per gioco, nel gioco meno gioco del mondo: il calcio. Nel 2019 meritiamo tutto questo.


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