Pensieri e un incontro particolare a poche ore dalle dimissioni di Prandelli da allenatore della Fiorentina


Cesare Prandelli voglio scriverti una lettera. Un caffè con un amico, 15 gennaio 2020. Volavo, perché da pochi giorni avevo avuto una notizia che mi dava speranza. Già, perché tutti noi siamo persone, perché pesano come macigni le cose che ci accadono lungo il percorso. Siamo fatti di carne e di ossa e nei momenti difficili, particolari, ci sei sempre stato. O meglio, io ti ho sempre visto come una persona alla quale aggrapparmi. E non lo hai fatto solo con me. Le emozioni non si scrivono e non si raccontano, è impossibile.

Quel caffè durò tanto a San Frediano, dove abiti te e dove sono nato io, ovvero nel cuore di Firenze. Parlammo di noi. Io delle mie storie, delle mie debolezze, delle mie paure, tu delle tue. Rimasi stupito, perché quasi mai ti eri aperto cosi. Davi tanto, ma ad un certo punto tagliavi sempre il discorso, quasi per non accelerare la conoscenza. Lo faccio anche io, siamo simili in questo. Quando la conversazione si prolungava dicevi sempre: ”Ciao Marco, adesso scappo”. Quel giorno non facesti così e io nemmeno. Dentro di me capii che avevi smesso di allenare e che forse prima avevi uno scudo. Non ti tornavano più tante cose, non amavi più il rumore dei motori. Quella che per te un tempo era musica era diventata confusione. I salotti televisivi così innaturali e seriosi. La velocità ormai psicopatica dei giudizi, che cambiano da una settimana all’altra. Gli scontri con i giocatori, per gran parte viziati e supponenti. Che a quarant’anni puoi sopportare, a sessantaquattro magari meno. I social, la mancanza di umanità. Io capii che avevi smesso e che eri sereno così che non reggevi più.

E poi il livello dei toni che si alza, le offese: bollito, pretino, falso. Quante cose da digerire. Te che lasciasti la Roma e un bello stipendio per stare vicino a Manuela. Te che con un -19 rimanesti in piedi alla Fiorentina, per amore del tuo lavoro e di un intero popolo. Te che in quel minuto di raccoglimento dopo la morte di tua moglie, facesti piangere una intera città. Io ero lì, ad Orzinuovi in quel terribile giorno, quando ti piegasti sulle ginocchia e non riuscivi più ad alzarti. Insieme a mezza Firenze. Non si dimenticano le emozioni. La vita è fatta di queste cose, il calcio è anche tanto altro. Te che a quella Nazionale regalasti una finale di un Europeo ma anche una immagine finalmente bella e pulita. Carceri, terreni confiscati, c’è anche altro oltre al pallone. Pretino. Come se fosse una offesa poi quella parola. Che poi vuol dire prete giovane, magari di campagna, a stretto contatto con le persone e con la natura. Ma in questo mondo Cesare ogni parola viene modificata, ogni cattiveria si moltiplica per mille, è il triste risvolto della medaglia. E’ la fine di un impero.

Il caffè finì "sono altri i problemi vita Marco", mi dicesti. Arrivò il Coronavirus dopo poche settimane. E nella tua provincia di Brescia perdesti tanti amici, tante persone di famiglia. Mi accompagnasti alla macchina. Passò un signore anziano, in bicicletta, ti disse: “Te sei Cesare, il nostro Cesare". Ti fermasti, tornasti indietro, lo guardasti e lo ringraziasti. Lì capii che ci sarebbe stata soltanto un'eccezione. E così è andata. Perché hai sempre vissuto di sentimenti ed è il tuo bello. Ed è anche per questo che la gente ti ama. Chi se ne frega degli spogliatoi, delle chiacchiere, di un pallone che rotola. Una volta va bene, una volta va male. Fa parte del gioco. Avevo le lacrime agli occhi quel giorno. Mai ti avevo sentito così vicino, e mai avrei pensato che mi parlassi così delle cose tue. Avevi smesso con il calcio. Forse lo facesti per questo.

Poi l’eccezione appunto: la Fiorentina. In questi mesi ci siamo sentiti quasi tutti i giorni. Per messaggio o al telefono. Avevo capito che qualcosa non andava, ma non ti ho mai chiesto di più. E non te lo chiederò adesso. E se sapessi qualcosa rimarrebbe tra di noi, come sai bene. Ma la lettera che hai scritto è chiara, anzi permettimi stupenda. Da uomo. E commentare le lettere è sgradevole. Si capisce tutto, sai scrivere, non solo allenare. Ma lo sai che in questo mondo di bugiardi, di soldi, di chiacchiere, uno che fa le cose normali non piace. Ma chi se ne frega. L’importante è che tu stia bene. “Con la testa non si scherza”. Me lo dicesti te, quel giorno.

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