Montella, Iachini, Prandelli, gli allenatori passano, la Fiorentina resta...nei bassifondi della classifica. Sono anni ormai che la Viola si avvita su se stessa e gira, che ti rigira, che ti rigira, resta sempre lì. Intendiamoci, i soggetti in questione ci hanno messo anche del loro per complicarsi la vita; per esempio, se decido di impiegare Callejon come attaccante di centrosinistra in un 3-5-2 posso essere certo che la resa dello spagnolo sarà insufficiente, per non dire nulla. Oppure se continuo ad insistere su Eysseric come elemento cardine della mia formazione (dopo che avrà messo insieme sì e no, tre prestazioni decenti in quasi quattro anni che è a Firenze), poi non mi posso sorprendere se vado ad Udine ed esco sconfitto.

Però soffermarci solo ed esclusivamente sugli allenatori è commettere un errore di prospettiva, è fare un'analisi riduttiva. Il male (sportivo, va da sé) della Fiorentina è più profondo e si chiama assenza di un progetto tecnico all'altezza della situazione. Grazie per Martinez Quarta, una scoperta e un buon 'prodotto' per gli anni avvenire. Amrabat da rivedere in un altro contesto e con altri interpreti al suo fianco. Su un futuro roseo per Vlahovic siamo pronti a scommetterci, ma c'era già. Così come Dragowski, Castrovilli e Milenkovic, che tra l'altro è con la testa già proiettato altrove. Per il resto? Poco o nulla, salvo qualche giocata di un Ribery che è però ultimamente più infortunato che in campo, o qualche buono spunto di Bonaventura che è anche lui un ultratrentenne che ha davanti a sé un altro paio di stagioni e niente di più. Stop!

Davanti a questo scenario si deve essere coraggiosi e capire che c'è una sola strada che si chiama rivoluzione. Non c'è la paura di buttar via il bambino con l'acqua sporca. Questo, ovviamente, se l'intenzione è quella di non vivacchiare e di voler tornare ad essere protagonisti e in lotta per posizioni diverse dalle attuali. Quello che per capirsi fu fatto, con grandissimi risultati, nell'estate 2012. E tra l'altro in quella circostanza lo stesso Pradè, che ora si dice incazzatissimo, fu uno degli artefici di tale rivoluzione che partì dal tecnico, ma che si concentrò in larghissima parte sulla squadra. Se lo si capisce bene, altrimenti non si potrà che andare incontro all'ennesimo, brutto, replay di un film visto e rivisto.

 

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