Tasto “replay”: i tre anni di Ikoné in viola riflettono una caratteristica ormai ascritta
Tra poco saranno ufficialmente tre anni da quando Jonathan Ikoné ha firmato con la Fiorentina. Acquistato nel gennaio del 2022, il francese è arrivato dal LOSC Lille per 15 milioni di euro bonus compresi. Firenze ha vissuto tale acquisto con discreta curiosità, conoscendo il livello assoluto del club transalpino (appena campione di Francia 2021) e seguendo le prestazioni positive del classe ‘98, tutt’altro che replicate in viola.
Caratteristiche subito individuate, mai cambiate
I primi sei mesi sono di lento adattamento al contesto e subito si scoprono le caratteristiche: dribbling funambolico, imprevedibilità nell’uno contro uno e grande capacità nel saltare l’uomo. Ma anche difficoltà nel vedere e sentire la porta, eccessivo egoismo palla al piede e smarrimento preoccupante, quando arriva nei dintorni dell’area di rigore. Cos’è cambiato da quel lontano primo spezzone di stagione?
L'ultima chance di Palladino… con pochi risultati
Ikoné è stato vicino all’addio alla Fiorentina, più volte, soprattutto durante la scorsa estate. Eppure la sua partenza non è arrivata, così Palladino ha deciso di dargli un’altra chance. “Sono innamorato di lui, ma mi fa arrabbiare”: più volte le sue dichiarazioni hanno riscontrato questa discontinuità. E probabilmente è un ottimo riassunto per racchiudere le sensazioni dei tifosi viola durante questi anni.
Tre anni di stasi, molto ripetitivi
Il problema è proprio la stasi del cambiamento, ciò che ha portato Firenze a rimanere praticamente esasperata dalle prestazioni del francese. La ripetitività del suo rendimento è fattore quasi automatico, in qualunque opportunità gli venga concessa. Sono stati anni fatti anche di sprazzi buonissimi, molto più che sufficienti, pur sempre accompagnati da ricadute non indifferenti. La certezza è che questo Ikoné, lo stesso degli ultimi tre anni, non è in grado di offrire garanzie sul piano tecnico. E se non lo ha fatto da titolare, utilizzarlo come “jolly” dalla panchina comporta il rischio ancor più grande di vederlo battere un colpo sempre meno spesso.