Ha fatto il giro del web l'immagine di un Dusan Vlahovic come con la Fiorentina non l'avevamo mai visto: non più il trascinatore maturo e gradasso, sicuro di sé e leader tecnico di un progetto che lo esaltava, ma improvvisamente un ragazzo del 2000, in preda alla delusione e allo sconforto per l'ennesima partita difficile e chiusa segna segnare. Le mani sul volto, la faccia pensierosa e neanche troppo arrabbiata ma proprio affranta, quasi senza punti di riferimento.

Saggezza vuole che la crescita, i passi in avanti, debbano essere ponderati e progressivi ma soprattutto avvenire con i tempi giusti: Vlahovic quelle tappe le ha volute bruciare, rischiando di bruciarsi a sua volta. Quantomeno si è scottato perché a Torino, dove ce lo ricordano spesso "non è come giocare alla Fiorentina" e in effetti 17 gol in 21 giornate non sono certo come 6 in 13. Poi sì, c'è la Champions (la prossima), ci sono i soldi (di più ma non così tanti rispetto a quelli offerti da Commisso per il rinnovo, stando a quanto racconta il club viola). Ci sono i titoloni dei quotidiani che finché Dusan era il 9 della Fiorentina tutto sommato, lo tenevano di spalla, quasi alla stregua di un giocatore in procinto di sbarcare in Serie A. Ma c'è anche il contraccolpo qualora le cose non vadano per il verso giusto o per quello che si era immaginato.

Avrà tempo ovviamente anche per rifarsi Vlahovic ma nella memoria della sua carriera questi sei mesi li archivierà probabilmente in una delle ultime cartelle. Non fraintendiamo però: la delusione del serbo non rappresenta una vittoria per la Fiorentina, che comunque dei suoi gol sta facendo maledettamente a meno, ma solo l'evidenza di come il calcio avido e alcune menti poco brillanti possano diventare anche molto controproducenti.


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