Il neo presidente del'AIA Alfredo Trentalange, succeduto la scorsa settimana al presidente uscente Nicchi, ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera per inaugurare il suo mandato. Queste le sue parole: "Un arbitro deve prendere una decisione in pochi attimi, a volte in un ambiente ostile. E assumersene la responsabilità. Che cosa lo spinge? Un profondo senso di giustizia. Quando si gioca e si riceve un calcio si vorrebbe restituirlo, ma c’è l’arbitro. Arriva una punizione, magari un cartellino e si continua a giocare. In pace. Grazie alla giustizia si raggiunge la pace. Quanti convegni servono per far passare lo stesso concetto? Cominciò 15enne, perché? Giocavo, mezzala. Feci un provino per il Toro: il giudizio fu “se ti piace il calcio puoi fare l’arbitro, o il giornalista”. Vorremmo realizzare il doppio tesseramento tra i giovani: perché scegliere a 14-15 anni se arbitrare o giocare? Un arbitro imparerebbe tanto in uno spogliatoio, un giocatore scoprirebbe un mondo con le squadre arbitrali. E il diverso non farebbe più paura. L’arbitraggio fa paura? Qualcuno pensa si cominci per un delirio di onnipotenza… Non è così. Grazie all’arbitro si gioca alla pari. Il prepotente non ha bisogno di regole. L’arbitro è un ragazzo, poi un uomo, che coglie il rapporto tra giustizia e pace. Abbiamo perso seimila arbitri in sei anni. Servono condivisione, trasparenza, progettualità e innovazione. Ci saranno tavoli tematici dove le piccole sezioni si confronteranno con le grandi. Ma dovremo rendere disponibili voti e relazioni tecniche. E implementare la formazione, prima per i formatori. È stato giornalista, sente la necessità di comunicare? Sì. Ma dobbiamo imparare a usare i social e far conoscere la persona dietro ogni arbitro. E poi, escluse quelle che chiamano in causa il giudice sportivo, dare chiavi tecniche delle scelte… Rocchi ci ha fatto fare passi avanti, la direzione è quella.

Che cosa pensa della Var a chiamata? "Non si conosce ciò che non si sperimenta, però non decide l’Aia ma l’Ifab. Siamo disponibili a essere un laboratorio permanente. Rincorriamo sempre il calcio, che andrebbe anticipato... mi accontenterei di raggiungerlo. Il mondo arbitrale femminile? Nel comitato nazionale c’è una donna (Katia Senesi ndr), perché non ci sono solo ex arbitri di A. Siamo in grande ritardo e servono investimenti. Le donne sono avanti, l’alibi atletico non regge, sono multitasking, più brave per concentrazione e studio. Servono formazione e attenzione dedicata. E zero pregiudizi. Non ha mai diretto Toro e Juve, escluso da tanti match scudetto. È ancora giusto? No. Mi auguro un derby arbitrato da chi è della stessa città. Più il nostro mondo crescerà più sarà possibile. Il miglior arbitro oggi? Il nostro Orsato. Come deve essere l’arbitro? Un ricercatore, non un presuntuoso. Il migliore studia, si aggiorna. Torniamo al passato, il suo giocatore più «difficile»? Bagni. E Mancini, il ct, con il quale ho rapporto bellissimo: è una persona in gamba e per bene, ai tempi della Samp abbiamo avuto qualche discussione. Ma sono legato agli esempi positivi, ai giocatori, tanti, che ti aiutavano a prendere la decisione giusta. Magari quando perdevano. È successo anche di recente, con Belotti a Bergamo.. Un gesto significativo. Noi latini pensiamo si debba essere furbi, ma siamo migliorati molto".


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