Italiano ha dichiarato che non gli sono piaciuti gli ultimi dieci minuti della sua Fiorentina contro la Lazio. Invece a me e alla maggior parte dei tifosi (mi arrogo il compito di interpretarne il sentimento) non sono piaciuti i primi ottanta.

Che sotto di due reti, constatata l’incapacità di segnare, col morale a pezzi per la straripante superiorità degli avversari sul piano della tecnica, della tattica, della gestione della gara, i giocatori viola possano aver avuto un calo di tensione da sconforto ci può stare. E così il passivo si è raddoppiato. Non è giustificabile, ma è comprensibile.

Sostenere che la Fiorentina per 80 minuti ha ben giocato è invece una bestialità né giustificabile, né comprensibile, mi si perdoni la brutalità con cui esprimo il concetto. I tifosi che hanno iniziato ad abbandonare gli spalti del Franchi ben prima del fischio finale (che crudeltà prolungare l’agonia viola di sei minuti!), ne avevano piene le tasche della prestazione disarmante e disarmata della Fiorentina. Gli ultimi dieci minuti, loro, non li hanno neanche visti.

Ormai è chiaro che se affronti gli avversari col fucile a tappo, ne buschi anche se contro hai una squadra col randello o con arco e frecce. Figuriamoci se impugna un mitra o un bazooka.
Il nostro “fucile a tappo” sono le “scommesse” Jovic e Cabral, arrivati dopo la “scommessa” Kokorin.

Una scommessa persa è una scommessa persa. Due scommesse perse sono una coincidenza. Tre scommesse perse sono una prova. Si può parafrasare la famosa frase di Agatha Christie, relativa agli indizi, per un giudizio spassionato su chi ha condotto il mercato dei centravanti della Fiorentina.

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