“Vogliamo vincere la Conference League per Joe”. Abbiamo voglia di rivalsa dopo Praga”. “Sarebbe bello chiudere un ciclo con un trofeo”. Sono solo tre, parafrasando un po' al fine di sintetizzare il pensiero comune, delle frasi che per intere settimane ci sono state propinate da dirigenti, allenatore e giocatori della Fiorentina prima della finale di Atene. Ripetute così spesso da diventare un ritornello, un'opera di convincimento riuscita alla perfezione.

Ci avevamo creduto tutti

Non giriamoci intorno: ci avevamo creduto tutti. Chi ha speso migliaia di euro per andare da Atene, chi ha riempito il Franchi, chi ha provato l'esperienza del Viola Park, chi si è riunito con gli amici e chi ha sofferto da solo davanti al televisore. Era già scritto: la Fiorentina è più forte dell'Olympiakos, ha troppe motivazioni, non può perdere di nuovo. I giocatori sono sereni, ci avevano detto. Niente di tutto questo. 

Senza anima, senza cuore, senza palle

Centoventi minuti giocati con la paura addosso. Azioni confusionarie, lanci lunghi alla cieca, passaggi sbagliati, conclusioni in porta totalmente casuali e di una pochezza tecnica imbarazzante. Se c'è una cosa peggiore di perdere, è perdere giocando così. Senza anima, senza cuore, senza palle. A parte pochissime eccezioni, sul campo dell'AEK Arena non si è visto neanche un briciolo di quello spirito di rivalsa che avrebbe dovuto spingere i giocatori. Parole, parole, parole, soltanto parole: noi, ancora una volta, ci eravamo fidati ciecamente. 

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