Il protocollo medico voluto dalla Federcalcio non può essere un salto nel vuoto. Ma cosa succede in caso di nuova positività di un calciatore?

Lunga analisi da parte del Corriere dello Sport per quanto riguarda il protocollo della Federcalcio. La scienza, dicono gli esperti, non punta mai al buio e preferisce giocare a carte scoperte: se parla, se suggerisce, se propone... lo fa con cognizione di causa. Il documento che dovrebbe garantire la corretta ripresa degli allenamenti attraverso una serie di norme, voluto dal presidente Gravina, è stato redatto dopo due riunioni in video conferenza e una serie di modifi che apportate da fi or di professionisti: il prof. Zeppilli e la commissione (un medico per ogni categoria, incluso il settore femminile e il Club Italia, più i rappresentan-ti di atleti, arbitri e allenatori), ma non solo; l'hanno sottoscritto Cauda, Fantoni, Ricciardi e Vaia, rispettivamente infettivologo di fama internazionale, direttore di unità Covid, responsabile sanitario di una delle strutture impegnate in prima linea (lo Spallanzani) e componente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In Serie B e in Serie C fanno notare che le disposizioni sono inapplicabili e costose, ma la loro osservanza diventerà un presupposto essenziale affi nché la terza industria del Paese riparta in sicurezza. Non mancano le zone d'ombra: che succede, ad esempio, se un calciatore contrae nuovamente il virus? Isolare solo il malato (come stabilisce la Figc) potrebbe non bastare dato che la legge prevede due settimane di quarantena per chiunque sia venuto a contatto con il positivo. Il Coni, scettico sulla ripresa, sta realizzando un protocollo con la Federazione Medico Sportiva per l'utilizzo degli impianti alla fine del lockdown. Sarà un vademecum utile agli altri sport. Il calcio si è mosso in anticipo sottoponendo il suo documento a Spadafora (ministro dello Sport) e Speranza (ministro della Salute). Ora aspetta il responso del comitato tecnico-scientifico.