Non c'è niente che vada per il verso giusto nel mondo Fiorentina e non si tratta certo di esagerazione perché comunque la si rigiri, la questione non torna e il bicchiere resta mezzo, per non dire completamente, vuoto. La Fiorentina non esiste come squadra, non ingannino i primi tempi buoni giocati qua e là e sparsi nei 9 mesi di stagione, non esiste come panchina perché l'alternanza tra due traghettatori andata in scena in questa stagione si commenta da sola (ed evitiamo per buon cuore di scendere nel merito delle scelte tecniche di ieri), non esiste come dirigenza perché il mercato di gennaio (limitiamoci a citare questo) oltrepassa i confini dell'autolesionismo, esiste certamente come presidenza, incapace però fin qui di centrare qualsivoglia bersaglio almeno in ambito calcistico. E se da un alto la meritocrazia è sempre stata sbandierata come valore simbolo del club, quasi a voler creare a Firenze una seconda Mediacom (come se le due società agissero nello stesso campo), dall'altro ci sono una valanga di demeriti che passerebbero in secondo piano se le voglie di conferma a livello dirigenziale imperversasse, come pare.

E allora che filo conduttore resta in questo caos? Uno in realtà c'è ed è un trend sempre più perseguito, soprattutto dopo il silenzio stampa deciso ieri: il mutismo improvviso quando il risultato punisce la Fiorentina, quando la prestazione è inaccettabile e la classifica si fa sempre più complicata. Non succede sempre, perché alcune volte il ds Pradè ai microfoni ci si è presentato, se pur con dichiarazioni discutibili, ma è certamente quanto riguarda il vertice del club. E così l'entusiasmo quasi risentito del post semifinale di Coppa Italia Primavera è stato improvvisamente rimesso nel cassetto dopo la debacle del Mapei Stadium.


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