Nei giorni scorsi è passato un po’ in sordina la notizia dell’abbassamento dell’indice di liquidità, che in passato era stato un argomento affrontato anche da Rocco Commisso (LEGGI QUI).

Di cosa si tratta? Da qualche anno ormai, la FIGC ha introdotto tre parametri per monitorare l’equilibrio finanziario ed economico delle società di calcio. Uno di questi è l’indice di liquidità. Si tratta di un parametro che, assieme ad altri, viene utilizzato per determinare il grado di equilibrio dei club. In particolare, riguarda la capacità di una società di far fronte agli impegni finanziari a breve termine. Si calcola attraverso il rapporto tra le Attività Correnti e le Passività Correnti.

In sostanza, è un indice che dimostra quanto un club sia in grado di poter rispettare i propri impegni finanziari. Cosa succede se non viene rispettato? I club interessati devono mettere soldi nelle proprie casse per ripristinare il valore richiesto. Ove questo non fosse possibile, si potranno acquistare calciatori solo se in precedenza se ne cedono altri, ammesso che non si proceda a ricapitalizzare la società (come fatto dalla Juventus).

L’idea è che quanto esce non possa superare quanto entra, moltiplicato per il coefficiente di volta in volta previsto. Coefficiente che viene fissato di anno in anno: per la stagione 2019/20, era 0.7, poi salito a 0.8 per il 2020-21. Cosicché per spendere 1000 euro bisognava incassarne almeno 700 nel 2019-20 e 800 nel 2020-21. E, chiaramente, più il coefficiente è basso, più ampio è margine per le spese.

Qualche giorno fa il Consiglio Federale ha confermato il “valore dell’indicatore di controllo di liquidità (attività correnti/passività correnti) per la stagione sportiva 2021/2022 nella misura minima dello 0,6”. Una notizia che fa sorridere le big italiane, ma non le società come la Fiorentina che - nonostante le difficoltà legate alla pandemia - ha fatto di tutto per avere i conti in regola.


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