Liam Brady torna a parlare dell'82: "Non sono contento di essere ricordato solo per quel rigore, ho fatto tante belle cose alla Juventus. Ecco come andò"

Protagonista di quella Juventus che nel 1982 strappò il tricolore alla Fiorentina all'ultima giornata, segnando il rigore decisivo contro il Cagliari, l'ex bianconero Liam Brady ha rilasciato una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport. Ecco cosa ha raccontato l'ex centrocampista su quell'ultima giornata di campionato.
“Non sono contento di essere ricordato soprattutto per quel rigore. Nella Juve ho fatto tante belle cose, conquistammo due scudetti, segnai in due derby vinti, il secondo dei quali in rimonta da 0-2 a 4-2 con una doppietta di Scirea. E poi... io quel rigore di Catanzaro nemmeno dovevo tirarlo. Ci giochiamo il campionato punto a punte con la Fiorentina. A quattro giornate dalla fine battiamo l'Inter grazie a un mio rigore. Il mercoledì seguente mi telefona un agente inglese e mi avvisa che la Juve ha già preso Platini. Dopo l'allenamento parlo con Trapattoni che mi assicura di non sapere nulla, ma capisco che non mi ha detto la verità perché è in difficoltà. Un'ora e mezza dopo, ricevo una telefonata dalla sede dove vengo convocato da Boniperti che mi spiega cosa sta succedendo. Penso che la società avrebbe voluto tenere tutto segreto fino a fine stagione, ma le voci girano sempre”.
Ha anche aggiunto: “Dico al presidente che non avrei più giocato: eravamo campioni in carica e in corsa per il bis, pensavo di meritare la conferma. Torno a casa e racconto tutto a mia moglie, compresa la decisione di non disputare gli ultimi tre incontri. Sono lei e Boniperti a farmi ragionare, a convincermi. Mi fanno capire che l'uomo è più importante del calciatore, che chiudere con un altro scudetto mi avrebbe regalato una gioia immensa: una soddisfazione cosi forte che mi sarebbe rimasta dentro per tutta la vita. Avevano ragione. Il giorno dopo comunico a Trapattoni la mia disponibilità e lui risponde che mi farà giocare ma preferisce che io non tiri eventuali rigori. A me va bene, anche perché la responsabilità sarebbe grande. Nella partita seguente ci sarebbe stato il rientro di Paolo Rossi dopo la lunga squalifica e anche altri compagni avrebbero potuto calciare dal dischetto”.
Ha poi concluso: “Tutto molto naturale. Marocchino crossa, Rossi prende il palo di testa, Fanna tira, un difensore (Celestini, ndr) salva sulla linea con la mano e la palla, mentre l'arbitro fischia il rigore, rimbalzando arriva direttamente nelle mie mani. L'assist del destino. Fanna esulta, Tardelli e Scirea lo abbracciano, Rossi viene verso di me e mi fa l'occhiolino. Io devo solo battere. Un avversario (Braglia, ndr) fa un paio di buche nel terreno attorno al dischetto, ma non mi disturba: penso solo a segnare. Quel gol regala alla Juve il 20° scudetto”.