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Pongracic Ferguson
Foto: Vicario/Fiorentinanews.com

Perfetta da raccontare e perfetta da studiare: Fiorentina-Bologna è stata una partita “a due storie”, con un’ora da manuale per i rossoblù di Niccolini, in panchina per sostituire il grande ex Italiano, e un finale in cui la Viola, spinta dall’inerzia e dagli episodi, ha ribaltato il copione fino al 2-2. Tutto quello che abbiamo visto in campo conferma – e in parte corregge – la fotografia che i numeri stagionali ci danno delle due squadre: il Bologna più maturo nelle due fasi, la Fiorentina più fragile ma capace di alzare ritmo e volume quando trova coraggio.

Il Bologna: ordine, struttura e precisione

Il film si capisce già dai blocchi iniziali. La squadra di Italiano imposta con il 4-2-3-1, baricentro alto, catena di destra protagonista e ricerca sistematica del primo palo. L’azione del raddoppio di Cambiaghi, un cross teso di Holm che pesca il taglio corto dell’esterno, è la sintesi di un principio identitario: esterno che attacca davanti al difensore, palla che viaggia veloce “fuori-dentro”, area riempita con tempi giusti. Fino al 70’ il Bologna è pulito, aggressivo, “corto” tra i reparti, la pressione alta sporca molte uscite viola e le seconde palle restano spesso in piedi ai rossoblù. È la traduzione pratica di ciò che i dati stagionali indicano da settimane: meno tiri concessi, qualità media contro più bassa, portiere coinvolto il giusto e, in generale, un’efficienza superiore nella gestione degli spazi, con 11 gol fatti, 5 subiti e un differenziale xG favorevole nelle prime giornate. 

La Fiorentina di Pioli: tanto volume zero lucidità

La Fiorentina parte con un 3-5-2 che mira ad avere ampiezza con Gosens e Dodô ma fatica a dare continuità alla risalita palla a terra. Le prime crepe sono nello spazio centrale sulle seconde palle dell’azione dell’1-0 di Castro, con marcature perse dopo il batti e ribatti; poi arriva la palla dell’1-1 sui piedi di Ranieri e successivamente la punizione di Mandragora che Skorupski toglie dall’angolo, preludio all’esterno rete di Dodô. È il “vecchio problema” della Viola 25/26: costruzione anche ordinata, ma poca precisione nell’ultimo terzo e nella scelta del primo tiro. Infatti i dati stagionali sono eloquenti: 5 gol segnati a fronte di 7,7 xG, 77 tiri totali ma appena 14 nello specchio, con un indice di tiri in porta percentualmente troppo basso per il volume prodotto; dall’altra parte 85 tiri concessi e 30 nello specchio, segno di una fase di non possesso che, quando si allunga, lascia conclusioni pulite agli avversari. 

Pressioni ed extra campo

Se allarghiamo lo sguardo oltre i novanta minuti e fuori dal rettangolo di gioco, si capisce quanta pressione gravasse sul contesto viola: zero vittorie dopo sette turni, un dato che a Firenze non si vedeva dal ’77/78, e un trend casalingo negativo dopo tre sconfitte su tre. Dall’altra parte un Bologna con quattro reti realizzate tra il 31’ e il 45’, finestra in cui infatti ha provato a spaccare anche al Franchi, e uno stato di forma stagionale più affidabile, certificato da punte, xG prodotti e solidità difensiva. Anche questo pezzo della cornice aiuta a capire perché, per oltre un’ora, la sensazione fosse di una gara in controllo rossoblù, e perché poi, quando l’episodio e l’inferiorità numerica l’hanno spostata sul piano emotivo, la Fiorentina abbia trovato la risalita di nervi che nei numeri stagionali spesso mancava. 

Due filosofie ben distinte, un risultato giusto

La sensazione, alla fine, è che il 2-2 sia il risultato giusto e anche il punto di ripartenza migliore per entrambe, ma per ragioni opposte. Per il Bologna è una lezione sulla gestione: quando domini e hai il colpo del k.o., devi chiuderla davvero; con l’uomo in meno non puoi smarrire baricentro e uscite, perché la squadra di Italiano vive di ritmo mentale e, se quel filo si spezza, diventa vulnerabile. Per la Fiorentina è il segnale che serviva: il materiale per creare c’è, la reazione emotiva anche; ora va trasformata in precisione, perché le ventidue palle perse di Dodô, i tiri alti di Ranieri e le scelte tardive negli ultimi venti metri sono esattamente i dettagli che separano una rimonta compiuta da un pari di rimpianti. Se quelle due o tre esecuzioni diventano più pulite, i numeri – e non solo il cuore – cominceranno a restituire qualcosa anche in classifica


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