Con la finale di Atene, escludendo l'inutile recupero contro l'Atalanta, molto probabilmente si è chiuso il ciclo di Vincenzo Italiano sulla panchina della Fiorentina. Un percorso di tre anni, per lunghi tratti entusiasmante ma indelebilmente macchiato dalla sconfitta contro l'Olympiakos. La terza finale persa di fila, un record di cui andare ben poco fieri, perché arrivare in fondo alle competizioni è di fatto inutile se poi non si alza la coppa. 

Si scrive karma, si legge centravanti

Il ciclo di Italiano è stato, in fondo, un po' anche il ciclo naturale del calcio. Perché questo sport negli anni è cambiato sotto tanti aspetti, ma non su quello più primordiale: il karma, alla fine, presenta sempre il proprio conto. Nel caso della Fiorentina, questo destino ha due nomi e cognomi ben precisi: Dusan Vlahovic e Ayoub El Kaabi. Il primo, centravanti straordinario ceduto nel gennaio 2022 con la squadra in piena corsa per l'Europa. Il secondo, bomber da oltre trenta gol stagionali, invisibile per 116 minuti eppure capace di decidere la Conference League al primo pallone buono.

A Firenze si è visto tutto, tranne quello che serviva

Dall'ultimo gol di Vlahovic con la maglia della Fiorentina a quello di El Kaabi ieri sera sono passati 864 giorni. Più di due anni in cui Commisso non è riuscito, anzi non ha voluto consegnare al proprio allenatore un attaccante che fosse anche solo minimamente paragonabile al tanto odiato bomber serbo. Ex presunti fenomeni in cerca di rilancio, prestiti secchi, scarti degli altri, seconde punte spacciate per terminali offensivi: a Firenze si è visto di tutto, tranne quello che serviva veramente. E siccome il karma è spietato, il ciclo di Italiano non poteva che finire così: con la pugnalata di un centravanti vero, quello che lui - a parte i primi sei mesi - di fatto non ha mai avuto. 

 


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