​​

Paolo Vanoli
Paolo Vanoli. Foto: Vicario/Fiorentinanews.com

Facile dirsi che bastava passare alla difesa a quattro per vedere la Fiorentina vincere, facile dirsi “che cosa ci voleva mai?”. Nel 5-1 contro l’Udinese, Vanoli cambia tanto, a partire dal sistema di gioco – ma con gli stessi uomini di sempre - e trova, in qualche modo, il sistema di combinare una squadra incoerente e fondata sul 3-5-2, chiedendo e ottenendo risposte da un gruppo dentro il quale è probabilmente cambiato più di qualcosa nell’ultima settimana. D’altronde, il cambio di braccio per la fascia di capitano passata da Ranieri a De Gea, e nonostante ciò la confermata presenza in campo proprio di Ranieri, perdipiù nell’antica veste di terzino sinistro, qualcosa vorrà pur dire sulla, magari temporanea, discesa a compromessi delle vere o presunte fazioni all’interno dello spogliatoio.

Sono state prese decisioni coraggiose, e fatte scelte anche di sapore disperato vista la difficoltà del momento. Come ad esempio quella di affidare un ruolo di boviana memoria a Ndour, giocatore estremamente diverso dal centrocampista romano e molto meno dotato in quanto a lettura del gioco. All'ex Psg è stato assegnato un ruolo ingrato, molto più di quello che Palladino chiedeva a Bove nel suo 4-2-3-1, i cui compiti erano legati proprio alle caratteristiche di Edo di grande aggressività, di capacità nell’alzare i ritmi di pressione e soprattutto di muoversi senza palla con efficacia rispetto ai compagni e alla fase di gioco.

L’utilizzo di Ndour da “ala tattica” (esterno di destra nel 4-4-2 in fase di non possesso) era orientato, più che ad alzare l’intensità senza palla, a compensare di volta in volta i movimenti di Gudmundsson, chiamando la mezzala dell’under-21 a orientarsi in funzione dell’islandese. Gud poteva andare con sistematicità sull’ampiezza, allargandosi da esterno sinistro, con relativa scalata in mezzo di Ndour chiamato ad attaccare l’area; oppure poteva scegliere di tagliare dentro senza palla per occupare la trequarti, con conseguente scivolamento del compagno sull’esterno, spesso solo per “fissare” le posizioni avversarie.

Il tutto, per permettere finalmente al 10 viola di avere carta bianca, senza dover cercare di lavorare di reparto con Kean. D’altronde, da sempre, quello degli accoppiamenti e dell’intesa tra Gudmundsson e Kean è un punto non risolto: Ndour, con tutte le difficoltà del caso nell’associarsi con il pallone ai compagni (al netto del gol e di una squadra che spingeva prevalentemente sulla corsia opposta), è stato il sacrificato di turno per risolvere l’annoso problema su come far coesistere i due maggiori talenti offensivi della Fiorentina, finora così restii a combinarsi.

Importante – e decisivo – anche il ruolo e la risposta di Parisi, schierato per necessità prima come ala destra (lui nato e cresciuto terzino sinistro) poi nella ripresa dirottato sulla corsia opposta. L’intensità e la spinta dell’ex-Empoli e soprattutto la sua efficacia nel creare superiorità numerica con i dribbling e gli 1vs1, hanno favorito tantissimo la manovra offensiva della Fiorentina. Oltretutto, la doppia presenza sulla corsia ha aiutato anche Dodô, molto più a suo agio nel lavoro di catena in fase offensiva che all’occupazione individuale della fascia.

D’altronde, Parisi per approccio era già stato forse l’unico giocatore in grado di mandare segnali positivi nelle ultime, disastrose settimane. La sua disponibilità e la sua applicazione nello svolgere delle consegne abbastanza per lui inusuali sono anch’esse un sintomo importante dell’importanza, e della disponibilità, del ragazzo in questo momento.

Guardando invece nelle retrovie, al netto delle facilitazioni dovute all’inferiorità numerica dell’Udinese e alla giornata opaca di Zaniolo, il passaggio a quattro pur mettendo in una posizione relativamente imbarazzante Ranieri (soprattutto in fase di spinta, nonostante tutta la buona volontà) ha aiutato non poco la tenuta del reparto. Facile ironizzare sul fatto che l’infortunio di Pablo Marì sia coinciso con il ritorno alla vittoria dei gigliati, ma è chiaro che lo spagnolo fosse per caratteristiche l’architrave della difesa a tre e questo senza un rendimento adeguato. La linea a quattro e il ritorno della coppia difensiva invece ha permesso di rivedere sprazzi della miglior versione di Comuzzo (stoico nella sua prestazione valsa 12 punti di sutura), giocatore che con ogni evidenza non è portato a fare il braccetto, può fare il vertice della difesa a tre ma è soprattutto un marcatore che ha bisogno di lavorare in combinazione con un compagno. La coppia Comuzzo-Pongracic è forse un sistema sul quale l’anno scorso la Fiorentina, a causa del ritorno forzato al 3-5-2 dopo la crisi di dicembre-gennaio, colpevolmente non ha lavorato. In ottica salvezza ma non solo, l’errore di rischiare di perdere un giocatore acerbo ma molto talentuoso del ruolo non può essere ripetuto.


💬 Commenti (2)