L'ex allenatore di Parma e Fiorentina Alberto Malesani, alla vigilia della sfidar tra i viola e la Roma, questo pomeriggio ha rilasciato una lunga intervista al sito ufficiale dei giallorossi dove ha anche parlato della sua esperienza a Firenze. Ecco alcuni spezzoni dell'intervista: "È davvero convinto che non possa più essere utile al mondo del calcio? Ormai è così. La decisione è maturata con razionalità nel corso di questi anni. Quando senti che ti allontanano un po’, è inutile insistere. A un certo punto mi hanno messo dalla parte degli allenatori che consideravano finiti e con il tempo l’ho accettato. Non c’è problema, mi esprimo in un altro mondo. Venivo dal mondo aziendale prima e oggi ci sono tornato. Quasi chiudendo un cerchio. A volte ho provato del dispiacere, ma non traumi. Quelli proprio no. Di una cosa sono rimasto male, che l’esperienza in questo paese, e di conseguenza nel calcio, non venga premiata. Come detto, prima di fare l’allenatore venivo dal mondo aziendale. Per 17 anni ho lavorato per la Canon Italia. In Giappone, le persone con più esperienza le riprendevano in sede sfruttando la loro conoscenza. Non le buttavano via. Le manca tanto allenare? A questa domanda rispondo sempre la stessa cosa: uno che ha fatto per 26-27 anni il professionista, ad alti livelli, il calcio non può sparirgli dall’anima. In particolare, a uno come me, che ha vissuto questo sport sempre a duecento all’ora, 24 ore su 24. La cosa che più mi è mancata finora è il prato verde, il pallone, l’aspetto didattico, la tattica che si fa giornalmente con la squadra, il creare qualcosa. L’allenamento globale, quotidiano. Nel suo anno alla Fiorentina ha allenato Grabriel Omar Batistuta. Com'era lavorare con lui? Batistuta resta il giocatore che ogni allenatore vorrebbe. Non faceva distinzione tra un allenatore e un altro. Sapeva prendere da tutti i tecnici il bello e il buono. È una cosa che lo ha reso unico. Un ragazzo che ha sempre lavorato sodo. Mi diceva: “Io mi devo allenare più di altri, non ho grandi proprietà tecniche”. Però aveva potenza, fiuto del gol, elevazione. Non ho mai visto una costanza del genere in un atleta. Sarebbe da prendere a esempio. Firenze cosa ha significato per la sua carriera? Vede, a volte si creano i grandi gruppi in cui c’è una miscela di tutto. Un’idea che è condivisa da tutti. Firenze è stato un miscuglio di questo tipo qui in cui erano coinvolti anche tifosi. Eravamo un corpo unico. È stato un anno splendido, intenso. Si era creato l’ambiente perfetto. Anche se non abbiamo vinto, ma ci siamo andati vicini con un ottimo cammino in Coppa Italia e la qualificazione nelle coppe arrivando quinti”.


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