Marassi non libera la Fiorentina: i tentativi di Vanoli, l'anima fragile e un tema ricorrente
A Marassi la Fiorentina non riesce ancora a vincere. Undici giornate, zero successi, l’ennesimo pareggio che lascia la sensazione di una squadra sospesa, bloccata dentro i propri limiti, mentali ancor che fisici. Il 2-2 contro il Genoa non è soltanto un risultato, ma un’immagine nitida di quello che la Viola è diventata: una squadra fragile di testa che alla prima difficoltà va in tilt, capace a volte di reagire ma che non riesce mai a compiere il passo decisivo. C’è una linea invisibile che la divide tra la paura di perdere e l’incapacità di vincere, ed è proprio lì che la Fiorentina si è incagliata da settimane.
Una partita che racconta tutto
Il match racconta la fragilità di questa squadra con una precisione quasi crudele. Il Genoa la indirizza presto con Ostigard, che stacca su una punizione laterale e punisce una difesa viola immobile, ancora una volta colpevole sulle palle inattive. È un tema ricorrente, una costante che pesa come un macigno. La Fiorentina reagisce con il rigore guadagnato e trasformato da Gudmundsson, l’unico capace di dare coraggio offensivo e qualità. Ma anche quando rimette le cose a posto, la squadra di Vanoli non riesce a costruire fiducia, vive in equilibrio precario e si spezza al primo scossone.
Nel secondo tempo accade di tutto. Ranieri tocca col braccio in area e provoca un rigore che solo un pararigori come De Gea riesce a cancellare con una bella parata. Pochi minuti dopo, Gudmundsson illumina, Sohm trova un corridoio verticale perfetto e Piccoli firma il gol del vantaggio con freddezza e forza non facendo rimpiangere il miglior Kean. È il momento in cui la Fiorentina dovrebbe saper soffrire, ma si scioglie come sempre: dopo appena tre minuti, su un’azione confusa, Colombo trova il pari. È il film di un problema mentale prima ancora che tecnico.
I tentativi di Vanoli e l’anima fragile della squadra
Nel finale Vanoli cambia per dare equilibrio e respiro, ma la Fiorentina non trova mai un’identità vera. Parisi e Viti provano a sistemare la linea, Džeko e Ndour a dare peso e centimetri, ma la squadra non riesce a trasformare la fatica in controllo. Il Genoa, più concreto e diretto, chiude in crescendo e trova ancora una volta un De Gea determinante, che nega il 3-2 a Masini nel recupero.
Tatticamente le due squadre si specchiano: 3-5-2 da entrambe le parti, stessa densità centrale, stessi limiti di costruzione. Il Genoa spinge di più sugli esterni, la Fiorentina prova a impostare con Nicolussi Caviglia e Mandragora, ma non trova mai ritmo. Troppi tocchi, poca verticalità, zero cambi di marcia. I dati confermano la parità: possesso palla simile, tiri quasi identici, baricentro basso per i viola e appena più alto per i rossoblù. Tutto bilanciato, tutto mediocre.
Un piccolo barlume di speranza
Dentro una partita così piatta, emergono solo due figure. De Gea, che para un rigore e salva il risultato con tre interventi decisivi ma che su entrambi i goal c’è un po' della sua complicità, e Piccoli, che per la prima volta da una speranza con un goal da centravanti vero. Entrambi rappresentano la parte buona di una Fiorentina che, nonostante i limiti, almeno dimostra di non voler affondare. Gudmundsson aggiunge qualità e ispirazione, ma troppo spesso resta isolato. Dodo corre tanto, ma sbaglia tutto e si conferma lontano dai suoi livelli.
La Fiorentina di oggi è un gruppo che vive di episodi, non di gioco. Ogni volta che sembra poter fare un passo avanti, si autodistrugge. Non è una questione di tecnica, ma di fiducia. La squadra non regge emotivamente i momenti chiave e non riesce mai a difendere un vantaggio.
L’immagine di una crisi
Il 2-2 di Genova è un risultato giusto, ma anche un allarme. Non cambia la classifica, non cambia la sensazione di precarietà che circonda la squadra. La Fiorentina non è padrona del proprio destino, si lascia trascinare dagli eventi e spera nei colpi dei singoli. Vanoli dovrà lavorare sulla testa più ancora che sulla tattica: senza convinzione, ogni episodio negativo diventa un peso insostenibile.
Servono certezze, servono vittorie, serve una scintilla. Perché continuare a restare sospesi, a metà tra la paura e l’orgoglio, non porta da nessuna parte. Il pareggio di Marassi è lo specchio di una squadra che non cade ma nemmeno si rialza, prigioniera di un equilibrio sterile, sempre uguale a se stesso.



