Come volevasi dimostrare: dopo l'eliminazione, il rinnovo di Palladino stride terribilmente. L'utopia di cambiare in meglio e uno strano concetto di progettualità

Non erano pochi coloro che, di fronte al rinnovo di Raffaele Palladino alla vigilia della semifinale di ritorno col Betis, avevano storto il naso. In effetti, la mossa della Fiorentina è stata alquanto inusuale, soprattutto perché l'attuale tecnico viola aveva già un contratto fino al 2026. Rischio calcolato? Senza dubbio, ma oggi resta difficile comprendere il senso di tale mossa, specialmente a livello mediatico.
Perché ulteriore fiducia?
Inutile girarci intorno: dopo l'eliminazione dalla Conference, con il rischio dell'ennesima stagione gettata al vento, il rinnovo dell'allenatore stride terribilmente. Che Palladino sarebbe rimasto anche l'anno prossimo lo si sapeva a prescindere dal prolungamento, ma qual è il senso di una tale (e non necessaria) dimostrazione di ulteriore fiducia?
E cambiare in meglio diventa utopia
Il messaggio che passa è semplice: la società sta con Palladino a prescindere dai risultati. Non il massimo, se si considera che l'allenatore è il primo imputato sul banco dell'opinione pubblica. Ben venga Palladino finché merita di stare su quella panchina, ben venga sostenerlo e dargli anche un po' di tempo. Ma l'impossibilità di guardare oltre, di pensare per una volta all'ipotesi di cambiare in meglio, sterilizza le ambizioni e conferma come questa società abbia uno strano concetto di progettualità.