Kean: "All'Everton sono diventato uomo. Per essere un campione devi avere consistenza. L'Italia non è un paese razzista e mi incazzo se lo dicono, però dobbiamo migliorare"

Nella lunga intervista a GQ Italia, l'attaccante della Fiorentina Moise Kean si racconta: “Per giocare a calcio, quando avevo solamente 13 anni, ho lasciato tutto: mia madre, la mia famiglia, i miei amici, la strada. È stato brutto. Ed è stato anche, tra virgolette, un rischio: una volta che avevo scelto di andare via, dovevo per forza tornare indietro con qualcosa tra le mani”.
“All'Everton perché volevo buttarmi in Premier. E lì sono diventato uomo”
Sulla sua scelta di andare in Premier League, all'Everton, nel 2019: “Se ripenso a sei anni fa ricordo perfettamente che più mi guardavo intorno e più capivo che andare all’Everton sarebbe stata la scelta giusta da fare. Sentivo di voler crescere e la Premier League sarebbe stata il luogo perfetto in cui farlo. Volevo mostrare le mie qualità nel campionato più competitivo al mondo, in una parola volevo buttarmi. Sono cresciuto tantissimo lì, poi non sempre il rendimento in campo può andare come uno si aspetta. Quando sono venuto via dall’Everton, però, ero diventato veramente uomo-uomo. Personalità? Per essere un campione è necessario avere una certa consistenza. Nel senso: si può e ci si deve divertire giocando, ne sono fermamente convinto, ma poi bisogna anche prendere sul serio il calcio. Anche frequentando fuoriclasse come Neymar e Mbappé, ho capito esattamente che se vuoi importi come giocatore, devi dare sempre qualcosa in più”.
“L'Italia non è un Paese razzista e mi incazzo parecchio, ma quell'episodio mi ha fatto male”
Kean torna anche sul passato, in particolare sull'episodio di razzismo in Cagliari-Juventus del 2019: “È stato brutto, ci sono rimasto male. Molto, molto, molto male. Perché avevo solamente 19 anni, ma soprattutto perché non mi aspettavo che in un campo da calcio potessero succedere cose di questo tipo. Credevo che la gente vedesse lo stadio come un ambiente in cui portare i bambini, che invece si ritrovano di fronte a questo genere di cose. Non è normale, così come non lo è neanche fuori dal calcio. Com'è la situazione ora? Sì, sta un po’ migliorando. Piano piano, magari, ma sta migliorando. La sensazione è che in Italia siamo un po’ indietro su questo genere di cose, e in parte può essere vero. Ma la realtà è che non ci sono delle differenze così grandi con gli altri Paesi, il razzismo non esiste soltanto qui da noi. Anzi, quando mi dicono “Eh, l’Italia è un Paese razzista”, io mi incazzo parecchio. E rispondo sempre: “Questo non è vero, il razzismo c’è dappertutto”. Anzi, la verità è che in Italia stiamo recuperando. Ed è sicuramente merito delle nuove generazioni, i ragazzi di oggi sono molto più sensibili su certi temi. Meglio tardi che mai, mi viene da dire”.